La politica economica che la Cina non adotterà
- Journalisme
- 19 dic 2024
- Tempo di lettura: 4 min
La politica economica che la Cina non adotterà: rivolgersi al mercato interno e ai consumatori domestici
Articolo di Noam Smuha

La politica economica che la Cina non adotterà: puntare sul mercato interno e sulla base dei consumatori
Abstract
La fine degli anni 2010 e l’inizio degli anni 2020 sono stati segnati da un notevole cambiamento nella geopolitica finanziaria. Se l’avvento del XXI secolo era stato accolto da molti come presagio di un nuovo ordine mondiale liberale guidato dagli Stati Uniti (con pensatori come Francis Fukuyama che dichiaravano la “fine della storia”), questa egemonia è stata messa in discussione. L’ascesa della Repubblica Popolare Cinese e le recenti dispute commerciali tra queste due superpotenze hanno rimodellato le dinamiche globali. Queste “guerre tariffarie” o “commerciali” riflettono un aumento del protezionismo, con la Cina che sovvenziona pesantemente le proprie industrie esportatrici per migliorare la competitività nei mercati esteri, mentre gli Stati Uniti impongono dazi sui beni cinesi per renderli meno competitivi nel mercato interno, rispondendo a pratiche commerciali percepite come sleali. Di conseguenza, altre nazioni e organizzazioni internazionali sono diventate sempre più consapevoli delle proprie vulnerabilità legate alla dipendenza dalle importazioni estere, alle pratiche commerciali scorrette o alla dipendenza dalle esportazioni.
In breve, stiamo assistendo a un aumento globale della multipolarità geopolitica e del protezionismo commerciale. Come il più grande esportatore mondiale, la Cina deve ripensare il proprio modello di crescita poiché essere un grande esportatore sta diventando meno redditizio a causa dell’aumento globale delle barriere commerciali. Tuttavia, per il Partito Comunista Cinese esiste una soluzione apparentemente ovvia: sostituire i consumatori esteri con quelli domestici, permettendo ai cinesi di acquistare i beni che producono. Nonostante questa soluzione keynesiana sembri semplice, il governo cinese appare riluttante ad adottare una strategia orientata alla domanda, continuando invece a perseguire soluzioni basate sull’offerta per quello che è fondamentalmente un problema di domanda.
Sezione 1: Panoramica economica storica
Sebbene la Repubblica Popolare Cinese sia nominalmente guidata da un partito comunista, la nazione ha sviluppato un modello di crescita orientato all’esportazione a partire dalle riforme di Deng Xiaoping negli anni ’70. Queste riforme miravano a trasformare la Cina da un’economia socialista pianificata a un’economia di mercato più aperta, favorendo una crescita più rapida, un aumento delle entrate statali e l’uscita di centinaia di milioni di cittadini cinesi dalla povertà. Nel 2000, il presidente statunitense Bill Clinton accolse la Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), sperando che l’apertura dei mercati avrebbe portato a una liberalizzazione politica. Sebbene quest’ultima non si sia materializzata, il balzo economico della Cina negli ultimi quarant’anni è innegabile.
Tra i principali fattori di questa crescita si annoverano salari relativamente bassi, una valuta sottovalutata e massicci investimenti governativi, comprese ingenti sovvenzioni alle industrie locali e la gestione di grandi imprese statali.
1.1: La svolta economica della Cina negli anni ’80
Prima della morte di Mao Zedong nel 1976, la Cina aveva attraversato una situazione economica disastrosa, spesso definita “il secolo di umiliazione”. Dalle Guerre dell’Oppio contro il Regno Unito a metà del XIX secolo fino alla Seconda Guerra Mondiale, la Cina subì enormi perdite in termini di popolazione, infrastrutture e stabilità economica.
Le fortune economiche della Cina iniziarono a cambiare nel 1978, quando Deng Xiaoping assunse il potere e attuò riforme sostanziali. Aprendo i mercati agli investimenti esteri e sfruttando la vasta e a buon mercato forza lavoro, la Cina riuscì a raggiungere un tasso medio di crescita del 9% annuo. Secondo la Banca Mondiale, queste riforme hanno sollevato oltre 800 milioni di persone dalla povertà.
Oggi, la Cina possiede molte caratteristiche di un’economia sviluppata ma mostra ancora elementi da nazione in via di sviluppo. Philippe Benoit, direttore di ricerca presso Global Infrastructure Analytics, descrive la Cina come una “superpotenza ibrida”: alcune regioni soffrono ancora di povertà persistente, mentre l’influenza economica della Cina su scala globale è innegabile.
1.2: Ambizioni geopolitiche
Il finanziamento delle infrastrutture estere da parte della Cina è esemplificato dall’Iniziativa Belt and Road (BRI), lanciata nel 2012 per facilitare il commercio dei beni cinesi nei mercati globali. Molti paesi in via di sviluppo sono diventati influenzati dalle decisioni cinesi, concedendo a Pechino un enorme potere economico e diplomatico a livello globale.
Sezione 2: Reazioni globali e protezionismo
2.1: Consapevolezza e allarme
L’ascesa della Cina come potenza globale ha scatenato reazioni “realiste” da parte di altre nazioni. Sia l’UE che gli Stati Uniti sono frustrati dalle barriere all’ingresso nei mercati cinesi. In risposta, l’Occidente ha promosso progetti alternativi alla BRI, come il Global Gateway.
L’India, percependosi come avversario regionale della Cina, ha rafforzato la cooperazione con gli Stati Uniti, formando il “Quad” con Australia e Giappone per contenere l’influenza cinese nell’Indo-Pacifico.
2.2: Legislazione protezionistica
L’esplicitazione del protezionismo globale è emersa con l’elezione di Donald Trump nel 2016, che impose dazi sui beni cinesi e vietò alcune aziende. Anche l’amministrazione Biden ha continuato questa politica, espandendo le tariffe.
L’UE, pur meno aggressiva, ha imposto tariffe su alcuni beni cinesi, mantenendo però relazioni economiche cruciali.
Sezione 3: Sfide interne ed economiche
3.1: Sfide economiche interne
Circa il 20% del PIL cinese deriva dalle esportazioni. L’interruzione di questo equilibrio potrebbe causare una crisi di sovrapproduzione, con conseguenze devastanti per i profitti delle imprese e per le entrate governative.
3.2: La soluzione proposta
Secondo la teoria keynesiana, l’empowerment della classe lavoratrice come consumatrice potrebbe mitigare il rischio di sovrapproduzione e ridurre la dipendenza dai mercati esteri. Tuttavia, il Partito Comunista Cinese esita a incentivare la domanda interna, preferendo fornire massicce sovvenzioni all’industria.
Sezione 4: Riluttanza del PCC e strategie alternative
4.1: Riluttanza a puntare sul mercato interno
I salari cinesi restano bassi e i lavoratori preferiscono risparmiare piuttosto che spendere, anche a causa della crisi immobiliare. Il governo, riluttante a indebolire gli asset statali, persiste nel modello di crescita basato sull’offerta.
Xu Gao, economista della Bank of China International, propone di redistribuire i dividendi delle imprese statali ai cittadini, ma soluzioni simili sono politicamente impopolari poiché ridurrebbero il controllo governativo.
4.2: Conclusione
In Cina, i leader del PCC rispondono principalmente ai colleghi di partito, molti dei quali hanno interessi radicati nell’attuale modello di crescita. Ciò concentra l’attenzione sul profitto aziendale a breve termine, a scapito della stabilità a lungo termine offerta da un’economia basata sui servizi e sul welfare.
Bibliografia :
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